lunedì 27 gennaio 2014

David Gemmell: costruire un libro sui personaggi

Voglio parlare di Gemmell, un autore che nessuno al momento sta degnando di attenzione. Un pò perché è morto (e quindi non scriverà più nulla), un pò perché è passato di moda e dei suoi libri non se ne trova nemmeno l'ombra in libreria.
E io ho il complesso delle cause perse, come Rhet Butler.
Si possono scrivere libri basati sulla storia, sull'intreccio preciso come un macchinario ad orologeria; il "sense of wonder" può essere tutto innestato sul lessico perfetto e cesellato, oppure su ambienti vividi e ricchi di dettagli. O ancora ci può essere una singola (o molte) idee dirompenti, attorno alle quali ruota tutta l' "inventio" narrativa.
Nel caso di David Gemmell invece il fulcro delle storie sono i personaggi.
Gli ambienti sono pochi: sono il bosco, luogo di incontri, il villaggio attaccato da banditi, la città (della quale però di solito vediamo solo le taverne e le locande), il monastero, la steppa desolata dove vivono e uccidono i Nadir, la Fortezza (con la "f" maiuscola, perché quest'ultima è un personaggio a parte).
Sono tutti luoghi "topici", di certo vivi, ma nemmeno troppo originali. Sono un pò come gli ambienti dell'Orlando Furioso, se sapete, come credo, di che cosa sto parlando.
Anche il testo (che purtroppo ho per il momento letto solo in italiano: perciò non mi sto rifacendo alla qualità lessicale ecc., ma al contenuto) è piuttosto "convenzionale".
Per esempio: se a un personaggio viene richiesto di dire qualcosa del suo passato, potete stare certi che egli "... guarderà fuori dalla finestra, sulla balconata dove un picchio si era appena posato...". Non ho nulla contro i picchi, naturalmente, quello su cui voglio attirare l'attenzione è il fatto che, come molte persone che leggono (tanto) e altri che scrivono (o imbrattano carte, se preferite), si spera con altrettanta lena (altrimenti c'è qualcosa che non funziona: un atleta non può sperare di vincere una gara se non si allena, stando in poltrona a vedere il Giro d'Italia), dicevo, come molte persone sanno, che per dare sostanza a un momento un pò più elevato, o per staccare le parti di un dialogo molto lungo, di solito si ricorre a questo sistema. Occhi che si lanciano verso l'orizzonte, nuvole che si rincorrono, il vento che soffia tra le fronde e amenità del genere.
Perciò non siamo propriamente nel campo dell'originalità e delle grandi, innovative nuove idee.
Anche i dialoghi sono diretti e non nel senso che chiamano "pane" al pane o che sono scritti semplici e concisi, come peraltro sono. In "The king beyond the gate" (che credo in italiano sia stato tradotto come "Le spade dei Drenai", la solita traduzione di qualità...) credo che al personaggio del prete/guerriero Decado sia stato chiesto almeno ottocento volte "cosa ne pensava di uccidere per il bene" e "se stavano facendo la cosa giusta", una domanda che di solito in altri libri si tiene per il momento clou, quando si deve poi spingere tutta l'azione narrativa verso una svolta (questa "tecnica" la vedete bene negli Shōnen manga). Se un personaggio deve sapere se un altro "gli vuole bene" non sta a pensarci su: glielo chiede. E l'altro risponde immediatamente, sì o no.
Questo intendo per "diretti". Che a volte diventa quasi "pulp" (ovvero "tirati via").
Di "tirato via" ci sono anche molti nodi della trama. Sempre in "The king beyond ecc" assistiamo all'entrata in scena di Pagano, il re che viene dal Sud, nel modo più "banale" possibile. Un incontro nella foresta, i banditi lo stanno già assalendo (e stanno già morendo); lo aiutano. Lui si unisce a loro. Fine.
Ma ora passiamo a parlare del motivo di questo post: come ho detto il testo scorre liscio, la trama scorre "liscia", ci sono banalità, non ci sono cose strane alla China Mieville, se volete non c'è neppure la "critica sociale" che sembra sia il metro di paragone per decidere se una produzione è "arte" o "palta" (discrimine che mi vede fortemente contrario, perché lo ritengo una stupidaggine assurda, ma tant'è). Quindi, perché leggerlo?
Perchè le vere cose potenti non sono nell'ambiente, non sono nell'inventio, sono tutte nei personaggi.
I dialoghi sono brevi, secchi, diretti, perché i personaggi sono brevi, secchi, diretti.
La storia che altri avrebbero scritto in cinquanta sette volumi (come un Brandon Sanders, per esempio, ma con questa frase non vogliatemene a male, non dico che Brandon sia un cattivo scrittore, è che è troppo prolisso!) Gemmell la scrive in un libro solo.
Le nuove copertine: in Great Britain Gemmell è ancora considerato il "king of heroic fantasy"; l'ascia e il fuoco vorranno dire proprio questo?

I personaggi compaiono in scena non al loro inizio, ingenui, da formare; non compaiono nemmeno nel loro momento di gloria. Sono degli sconfitti, dei superati, sono spesso vecchi o al limite della vecchiaia. Tutto il bello e lo splendido della vita se ne è già andato dietro di loro. Se c'era una donna, questa è morta. E un peso terribile grava sulle loro coscienze.
Nulla di tutto questo viene raccontato: lo sappiamo solo per frasi mozze, riassunti, brevissimi flash back. I personaggi di Gemmell si presentano, per così dire, come fantasmi del passato, come leggende, come qualcosa che non fa parte del presente (emblematico, nel senso che si rompe quasi il gioco di specchi della finzione narrativa, il caso di ""The Sword of night and day", in Italia "La leggenda dei Drenai", che è anche l'ultimo libro sui Drenai da lui scritto). Sono personaggi completamente bloccati nel passato?
In parte sì. Druss non può scollarsi di dosso di essere la "leggenda".
Tenaka Khan non riesce a scrollarsi di dosso di essere un generale, e di avere sangue Nadir.
Skilgannon riesce solo in parte a rinnegare il suo passato, ma questo avviene dopo la sua morte; di fatto è "condannato" a essere un eroe, e a continuare a vincere.
Ma in parte anche no. Perchè se c'è una cosa insormontabile che lega a terra le persone, che possiamo chiamare "morte" o piuttosto "destino", questi personaggi lo affronteranno fino alla fine. Contro ogni possibilità, calcolo statistico, speranza di qualsiasi tipo. Si ergono come giganti e la storia, l' "inventio", la trovata, l'idea, il motore dell'azione si svolge tutto intorno a loro, o meglio, è tutto poggiato sulle loro spalle.
A volte penso quasi che Gemmell dovesse essere un grande ammiratore di Shakespeare (ma non lo saprò mai, immagino); il destino tragico, la lotta contro sé stessi, le scene che sembrano "viste" su di un palco, prima che immaginate nella penna, i dialoghi simili a quelli di una tragedia (sia per ritmo, che per forma espositiva, nonché per contenuto), un passato colossale che si riassume in due battute, che quasi sembrano non pronunciate dal personaggio, ma messe in bocca a un qualche "coro" tragico, tutto questo mi fa pensare a Shakespeare, o all'Edipo Re.
Perciò sì, si può creare una storia basata interamente sulla forza dei personaggi. Non credo che si possa però dire "ma sarà incompleto, non sarebbe meglio se ci fossero i personaggi, l'ambientazione, il testo ecc"?
Nella mia limitata esperienza di persone che siano riuscite a mettere tutte le "stats" (gergo da giocatore di ruolo, scusate) al massimo, sono poche, mi viene in mente Dante (ma quanto è "stracciato" il pretesto della storia?!) o Tolstoj.
Ricordiamoci che il troppo storpia. Forse proprio la magrezza di tutto il resto fa risaltare ancora più splendidi e titanici questi personaggi.
Più probabilmente, al contrario, la grandiosità dei personaggi ha risucchiato tutto il resto. Tutte le energie sono state dirette dentro di loro. Sul palco del teatro, le scenografie di fondo, se le guardiamo bene, non sono forse finte? Devono richiamare l'ambiente, fare da cornice, non essere un vero ambiente. Perché l'attenzione dello spettatore sia tutta sui personaggi in scena.
E non, come spesso accade, sui volteggi simil Wuxia (wuxia fatta anche male, peraltro), crolli di montagne e draghi che corrono per trenta minuti sfondando pareti dietro a nani con il mascara sugli occhi (sì, è chiaro che lo Hobbit - la Desolazione di Smaug mi fa schifo).
Quindi se volete leggere qualcosa di fantasy da uno che, tra le altre cose, si intende molto bene di operazioni militari (come anche il povero Eddings, relegato ormai a "scrittore di storielle banalotte", come ho letto in giro), e volete leggere personaggi che arrivano vicino a McBeth, qualcosa di veramente epico, che, almeno a me, ha fatto venire i brividi e la pelle d'oca cercatevi Gemmell. Leggetevi come muore Pagano, e capirete che cos'è l'epica e il fantasy.
E dimenticatevi certi elfi o vampiri emo che vanno via di testa solo perché gli esce sangue dal naso.

3 commenti:

Matteo ha detto...

Non so se sono del tutto d'accordo con la tua visione, mi spiego: io credo che lui sia molto abile nel creare i personaggi (vogliamo dire un genio? magari si, magari no), ma penso che fondamentalmente il modo in cui delinea i paesaggi, più che altro crea i mondi di contorno, sia una scelta precisa: tratti essenziali, fatti intuire attraverso le interazioni fra i personaggi o gli indizi seminati fra le scene più che dettagliati; per esempio questo secondo me è un metodo che se padroneggi è decisamente soddisfacente, ti lascia (a te generico lettore) la possibilità di spaziare e adattare con la fantasia, di fare in qualche modo più tuo quel mondo, cosa che in opere come quelle di cui parliamo è secondo me un desiderabile (desiderabilissimo) valore aggiunto. L'altra cosa che ora mi sento di sottolineare (e so benissimo cosa ne pensi tu) è il fatto di etichettare come pulp certe cose come se fosse una definizione in qualche modo diminutiva: ovvero c'è stato un periodo in cui, Tarantino in primis, ha rischiato di riuscire a sdoganare in primis un certo modo di raccontare, persino di essere, ora mi pare che si tenda a tornare su posizioni un pò troppo manichee, senza contare la "dipendenza" che alcune persone sembrano sviluppare per certe ostentazioni: prendendo un esempio tuo: io voglio scrivere per scrivere come China Mièville, che se da una parte è anche una sorta di stimolo o sprone positivo e mi sta bene, dall'altra in alcuni mi sembra toccare apici di esagerazione persino malsani.

Lotto D. ha detto...

Non credo che le nostre visioni siano molto distanti. I paesaggi ci sono, non ho detto che siano assenti, dico soltanto che sono "scarni" il giusto, perchè sono come teatri da posa.
Per quanto riguarda il "pulp" forse non mi sono espresso bene: il pulp è veicolo di idee che di solito sono relegate in un posto molto buio, che la gente non degna di una seconda occhiata. Io qui per "pulp" intendo piuttosto il suo significato originale, cioè "carta straccia". Più sotto ho usato il termine "stracciato", proprio per dire "cose fatte proprio alla maria passa via, o alla carlona, se preferisci Carlo Magno". Di elementi "stracciati" in Gemmell ce ne sono parecchi, ma questo non implica un giudizio negativo.

Matteo ha detto...

No difatti, io penso che ci siamo intesi alla perfezione, poi si potrebe discutere sui motivi delle cose fatte in modo stracciato; in linea di principio comunque il mio era un pour parler e nulla di più.